Parole
e fiori
Anita Polvere
– Agosto 2006
Una
crepa di luce tortura i miei sogni.
Ombre e onde scivolano aggrappandosi in me.
Cala un sipario di parole e farfalle legnose planano nell’aria vacua.
Stringendo il cuscino sudato mi sciolgo nel buio e boccheggio di
immagini abbacinanti.
La luce mi sconquassa a sprazzi da dentro, mi raggomitolo su me stessa,
sfioro i disegni della mia mente, luci e ombre prendono vita sotto la mia pelle
arroventata.
Parole leggere sul soffitto, faccio per toccarle.
Dondolano con le farfalle, si inumidiscono nel vapore.
Chiudo forte gli occhi, mi copro il volto con le mani e il sudore si
incolla.
C’è un bosco coperto di fresco e raggi di sole lo attraversano
trasversalmente.
Il lago è deserto e dietro il respiro del mare, liscio e blu.
Salgo per un sentiero, ciottoli
sotto le suole, odore di pini.
Frusciare; zoccoli di cavalli
selvaggi cadenzano silenzi ombrosi.
Un fugace bagliore castano intenso, e bianco, accanto a me galoppando.
Salgo; sotto una placca di legno coperta di muschio trovo un cestino
di parole.
Mi stiro con le dita tese, lo raccolgo in fondo alla buca e risalgo
imbrattata di terra viva e ragnatele.
Il cestino sotto il braccio e
proseguo.
Una grande casa, le pareti esterne di pelle squamata dal sole.
Vecchie persiane sbilenche nel vento leggero.
Uno spruzzo di luce mi lascia un segno sull’incavo del braccio, balzo
sotto la tettoia della grande casa, appiattendomi contro il muro scrostato;
difendo il cestino.
Apro il portone sfiancato e vago per stanze intricate.
Davanti a una scala orlata di edera sottili immagini fisse, sagome
conosciute da tempo e seccate al sole.
Sono pallide pellicole
fluttuanti.
Le osservo, salgo le scale.
Mi volto e soffio sui dagherrotipi scialbi.
Si disperdono nell’aria presto
polverosa.
Ridiscendo verso un corridoio semibuio, antichi porta-lanterne di
ottone aggrappati a mattoni crudi.
Nella cucina filamenti verdi percorrono il soffitto; è fresco e vivace.
Le tendine ancora gialle e
bianche, una piccola cassettiera verniciata in rosso accanto al camino in
disuso.
Il lungo lavabo di marmo è colmo
di fiori lilla e rossi, fiori di bosco.
Chiudo le persiane, appoggio il
cestino sul tavolo e mi siedo sulla panca fra i rami di edera.
Scosto da un lato la tovaglietta a righe pastello del cestino.
Mi volto indietro, poi sbircio dentro al cestino con il naso premuto
sul bordo. Raccolgo qualche parola e la metto sul tavolo.
Mi guardo intorno, torno a concentrarmi sulle parole.
Alcune intarsiate, altre
semplici, contornate di una luce leggera.
Pulsano debolmente, si attraggono.
Le sfioro; passi attutiti alle mie spalle.
Le mie mani in tensione a mezz’aria.
Una forma indistinta viene a
sedersi accanto a me.
Non riesco a coglierne i tratti; trovo il contorno familiare.
Seduto davanti a me, osserva.
Ricomincio a cullare le parole, diventano più luminose, emanano
iridescenze.
La forma indistinta ci osserva in silenzio.
Alzo gli occhi sulla forma indistinta; ha un contorno familiare.
Sorrido. La forma indistinta allunga un braccio e sfiora una delle parole.
La parola pulsa, si tende verso la mano che l’ha toccata.
La forma ritira la mano.
Io piego il capo da un lato, aggrotto le sopracciglia e sposto la
parola verso la forma indistinta.
La forma indistinta prende la
parola e comincia a giocarci.
Dopo poco le parole stanno
brillando sopra di noi, sono uscite tutte dal cestino, la stanza ne è piena,
fra profumo di erba e di fiori colorati.
Sento la fitta al petto, mi premo le mani sul volto.
Aspetto forse che la forma
indistinta si allunghi verso di me, tolgo le mani dal volto,
la stanza si sta sciogliendo, il
ventilatore gira a vuoto e boccheggio, rivoltandomi invano nel letto.